La percentuale di
donne impiegate a livello mondiale nel campo della cybersecurity è solo del 24%, secondo i dati dell’International Information Systems Security Certification Consortium. Questo, che a prima vista può sembrare irrilevante, è in realtà un ostacolo al progresso della società.
Come dato esemplificativo dell’effetto che la mancanza della presenza delle donne nel settore tecnologico può avere sull’economia, nel 2018 la Commissione Europea ha pubblicato lo studio
Woman in Digital Age dimostrando come le
perdite di produttività dovute alla sottorappresentazione delle donne nel campo dell'ICT ammontassero in tutta l'Unione Europea a più di 16,1 miliardi di euro l'anno.
Nel campo specifico della cybersecurity gli investimenti delle aziende sono in rialzo, con un aumento del 62% del fatturato globale nel settore, che passerà da 153 miliardi di dollari nel 2018 a 248 miliardi nel 2023 (Gartner). Sia questo campo che il settore tecnologico in generale sono aree in piena espansione che richiedono l’ingresso di nuovi professionisti ad un ritmo che la società, al momento, non è pronta a coprire. I numeri sono altissimi: organizzazioni come il Center for Cybersecurity and Education (ISC) prevedono che nel 2022 ci saranno 1,8 milioni di posti vacanti in questo settore in tutto il mondo.
Alejandra Alarcón, CyberRisk and Compliance Technical Coordinator in Minsait, società di IndraPer quanto riguarda la presenza delle donne nella cybersecurity, uno studio di Kaspersky Lab sottolinea che "
la mancanza di talento nel settore tecnologico aumenta ogni anno e peggiora a causa del basso numero di donne". Da parte sua, l'UNESCO conclude in un rapporto del 2019 che la mancanza di talento non ha nulla a che vedere con il genere. Inoltre, la ragione principale per cui le donne non si decidono per le professioni STEM è dovuta all'orientamento educativo ricevuto durante la loro vita e alla mancanza di riferimenti femminili nel settore.
Molteplici studi di Neuroscienze Cognitive realizzati negli ultimi 50 anni, come quelli recentemente elaborati da Gina Rippon o Lise Eliot, affermano che non esistono differenze intrinseche essenziali tra il cervello degli uomini e quello delle donne, per cui le differenze che si creano durante lo sviluppo hanno più a che vedere con l'educazione ricevuta e con stereotipi e luoghi comuni che fanno sì che il diverso trattamento sociale che entrambi i gruppi ricevono condiziona le loro inclinazioni professionali.
Secondo i
dati Istat, in Italia il livello di istruzione femminile è superiore a quello maschile: nel nostro Paese infatti le donne con almeno il diploma sono il 64,5% del totale, circa 5 punti percentuale in più degli uomini che sono il 59,8%. Il vantaggio femminile riguarda anche l’istruzione universitaria: le donne laureate in Italia sono il 22,4% contro il 16,8% degli uomini. Eppure, il divario di genere nelle lauree STEM è molto forte: il 37,3% degli uomini ha una laurea STEM contro il 16,2% delle donne.
Guardando questi dati capiamo che per far fronte alla carenza cronica di professionisti qualificati che il settore sta affrontando non possiamo permetterci di fare a meno delle donne. Farlo significherebbe scartare più della metà del talento disponibile nella società a causa di stereotipi che non hanno nulla a che vedere con una realtà scientificamente verificabile riguardo alle capacità delle donne nella tecnologia.
È essenziale
incoraggiare altre donne a interessarsi al settore rendendo visibili i riferimenti femminili che esistono in esso. In quest’ottica, ci sono già progetti che rendono più visibile il ruolo delle donne nel campo della cybersecurity promuovendo la loro presenza nel settore, come l'iniziativa creata dall’European Cybersecurity Organisation, Women4Cyber. È anche di fondamentale importanza
promuovere un'educazione inclusiva che permetta ad ogni persona di sviluppare pienamente le proprie capacità, promuovendo così il progresso della società nel suo insieme.