Oltre alla ripresa degli
attacchi DDoS, con l'autunno riprende anche l'attività di
phishing. A focalizzare l'attenzione è il
Threat Report Mid-Year Update 2019 di Webroot. Sulla base delle tendenze osservate durante la prima metà del 2019, è emerso che 1 link su 50 è malevolo, quasi un terzo dei siti di phishing utilizza il protocollo HTTPS e gli exploit di
Windows 7 sono cresciuti più del 70% da gennaio.
La notizia peggiore è che i criminali informatici cercano di ingannare gli utenti servendosi di domini considerati attendibili e del protocollo HTTPS. Quasi un quarto dei link dannosi (24%) è ospitato su domini sicuri, quindi che destano meno sospetti e innescano meno controlli.
Un link su 50 (l'1,9%) è risultato malevolo. La percentuale non deve trarre in inganno, perché il dato in realtà è alto. Basti pensare che il 33% degli utenti clicca su più di 25 link al giorno. Quasi un terzo delle pagine di phishing rilevate (29%) utilizza il protocollo HTTPS come metodo per ingannare gli utenti. Significa che le pagine mostrano il simbolo rassicurante del lucchetto, apparendo affidabili anche se non lo sono. A dimostrarlo sono i numeri: da gennaio a luglio 2019
gli URL malevoli sono cresciuti del 400%.
Chi sono gli
obiettivi dei cyber criminali? In pima linea ci sono i fornitori SaaS/Webmail (25%), seguiti dagli
istituti finanziari (19%). È poi la volta dei social media con il 16%, del settore retail (14%) e dei servizi di file hosting (11%).
Potenzialmente tutti gli utenti sono obiettivi, ma a rischiare di più sono coloro che usano Pc con Windows 7. I dati mostrano che da gennaio a giugno, il numero di IP che esegue una versione di Windows non aggiornata o senza patch è aumentato di oltre il 70%. Ecco perché i cyber criminali sfruttano sempre di più le tecniche di infezioni che mirano a questi utenti. E che installano malware in tre aree deboli: temp, appdata e cache.
Questo è un problema piuttosto facile da aggirare. Le aziende possono impostare delle policy per
limitare l'esecuzione di qualsiasi applicazione dalle posizioni temp e cache. Si previene così oltre il 50% delle infezioni. Il riferimento alle aziende non è casuale: tra i PC infetti, il 64% sono di utenti finali, il 36% sono dispositivi aziendali.
Vittime a parte, l'obiettivo non è sempre lo stesso. La maggior parte delle volte mira ad acquisire username e
password. Spesso però prende di mira le domande segrete e le relative risposte. Quello che è certo è che le password violate non sono più usate solo per prendere il controllo dell’account. Diffuso il loro impiego per inviare
email a scopo di ricatto.