I ricercatori di HP Wolf Security hanno rilevato script per l'automazione dello sfruttamento di falle zero day. Gli attacchi diventano più veloci e accessibili a cyber criminali poco esperti.
Autore: Redazione SecurityOpenLab
I cyber criminali si stanno organizzando per sfruttare massivamente le nuove vulnerabilità zero-day. L'informazione è riportata nel Quarterly Threat Insights Report di HP Wolf Security, dove sono indicate con precisione anche le falle da tenere d'occhio.
La prima è quella monitorata con la sigla CVE-2021-40444, chiusa con gli aggiornamenti del Patch Tuesday di settembre. Si tratta di una falla RCE radicata in MSHTML (noto anche come Trident), il motore di rendering del browser Internet Explorer ormai fuori produzione, ma tuttora impiegato in Office per eseguire il rendering di contenuti Web all'interno di documenti Word, Excel e PowerPoint.
A meno di tre giorni dalla pubblicazione della patch, i ricercatori di HP hanno rintracciato su Github degli script per automatizzare la creazione dell'exploit, così da facilitare il lavoro ai criminali informatici con scarse basi tecniche. È un modus operandi che rientra nel quadro del cybercrime as a service, e che fa impennare il numero degli attacchi informatici rendendoli accessibili a chiunque.
Inoltre, sfruttando questo schema i cyber attacchi diventano incredibilmente veloci, bruciando sul tempo le aziende, che invece impiegano in media 97 giorni per implementare le patch. Un intervallo di tempo particolarmente pericoloso perché basta poco in questo frangente per permettere agli access broker l'installazione di una backdoor e la vendita dell'accesso alla rete a gruppi di ransomware.
Tale exploit consente agli attaccanti di compromettere gli endpoint con una minima interazione da parte dell'utente. Sfrutta un file di archivio malevolo che distribuisce malware tramite un documento di Office. Non è necessario che la vittima apra il file o abiliti alcuna macro: basterà che visualizzi il contenuto nel riquadro di anteprima di Esplora file perché l'attacco venga avviato.
La difesa migliore in questi casi è l'automatizzazione del patching, che sgrava i team di security dalla mole di lavoro relativa alla prioritizzazione delle patch e alla loro installazione, e consente di proteggere i sistemi in maniera veloce ed efficiente.
Le brutte notizie non finiscono qui. Sempre nel report ci sono alcuni dati aggiornati sulla lotta al malware che non confortano. Il primo riguarda la detection: il 12% del malware isolato via email ha bypassato almeno uno scanner del gateway. Torna quindi un concetto chiave che gli esperti di sicurezza ripetono da mesi: per una difesa efficace non basta più installare un gateway e un antivirus.
Per una detection efficace occorrono strumenti dotati di threat intelligence e di apprendimento automatico, che siano in grado di rilevare i minimi segnali di rischio.
Gli ambiti da presidiare con questi strumenti di ultima generazione sono per lo più due: le email, da cui passa l'89% dei malware rilevati, e la navigazione web. Risulta infatti che i download dal web sono la causa dell'11% dei contagi malware.
I controlli devono essere a 360 gradi, perché dare per scontati alcuni ambienti o file può essere foriero di problemi. Basti pensare che il tipo più comune di file contagiati riguarda quelli d'archivio, che sono ampiamente diffusi (utilizzati nel 38% delle minacce isolate in questo trimestre). E che i criminali informatici fanno sempre più uso di servizi cloud legittimi come OneDrive per ospitare malware e aggirare le misure di whitelisting dei sistemi di rilevamento.