Il 45% delle
reti domestiche è infetto da
malware. La maggior parte dei dispositivi in uso ai dipendenti è esposto o vulnerabile. Il dato emerge da uno studio appena pubblicato da BitSight intitolato "
Identifying Unique Risks of Work From Home Remote Office Networks". Lo studio, che ha coinvolto oltre 41.000 aziende, si è focalizzato su quello che è stato definito Work From Home-Remote Office (WFH-RO).
Il risultato è che i malware nelle reti domestiche associate sono di gran lunga più diffusi che nelle reti aziendali. Il dato è importante perché è la prima volta nella storia in cui è possibile fare un confronto diretto fra le reti aziendali tradizionali e quelle che oggi di fatto lo sono diventate, per cause di forza maggiore.
La conseguenza è ovvia. A marzo 2020 le reti di home office avevano una probabilità 3,5 volte maggiore di presentare un'infezione da malware rispetto a una rete aziendale. In particolare, il
malware TrickBot che viene spesso utilizzato nelle campagne
ransomware, aveva una presenza 3,75 volte superiore negli uffici domestici che nelle reti aziendali.
Durante la ricerca è stata rilevata anche una prevalenza di
botnet.
Mirai è stata osservata almeno 20 volte più frequentemente sulle reti domestiche associate alle aziende rispetto che nelle reti aziendali. La percentuale ha una spiegazione semplice. L'impatto di Mirai è maggiore nelle reti domestiche per la
massiva presenza di dispositivi IoT e consumer, che sono gli obiettivi per i quali Mirai è stato realizzato. E perché sfrutta prevalentemente le impostazioni predefinite, che la maggior parte degli utenti domestici non cambia.
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Le reti domestiche vanno protette
L'
home working esisteva anche prima della pandemia. Quest'ultima ha causato un aumento improvviso e considerevole di utenti che lavorano da casa, ampliando a dismisura la superficie d'attacco. A questo si aggiunge il fatto che oggi sta lavorando da casa chi non l'aveva mai fatto, e che quindi ignora i rischi.
Non tutti dispongono di un computer aziendale, non tutti lavorano da un dispositivo ben protetto e monitorato. Inoltre la rete non è amministrata da professionisti. Le aziende più protette al momento sono quelle che hanno implementato soluzioni Zero Trust prima della pandemia. Sono poche. Nella maggior parte dei casi i dipendenti in smart working sono liberi di condividere file, cliccare su link, installare applicazioni e fare cose che non andrebbero fatte.
Se tutto questo viene fatto in una rete compromessa da malware, i rischi per l'azienda aumentano in maniera esponenziale. L'unico intervento attivo che si può fare al momento è
l'attività formativa, con corsi in cui si spiegano ai dipendenti i rischi dovuti a questa situazione. Occorre capire quali dispositivi sono collegati alla rete residenziale e accedono a quella aziendale. Occorre
spiegare che cosa si può e non si può fare per mantenere questi dispositivi in salute ed evitare che le infezioni contagino le aziende.