Anche i più smaliziati e attenti alla sicurezza, bene a conoscenza del
pericolo costante del phishing, esitano per un microsecondo quando nella loro casella di posta arriva un messaggio apparentemente inviato da una azienda
davvero molto nota. È il segreto di un buon phishing. Le mail di banche, corrieri, servizi di pagamento, uffici postali sono ormai
troppo sospette. Ma una mail di Apple? O Google? Davvero questi grandi nomi del digitale non si accorgerebbero di essere usati dalla criminalità informatica?
Eppure è così. Le campagne di phishing ben riuscite
cavalcano sempre la notorietà e la presunta affidabilità di grandi nomi. È per questo che riescono ad essere davvero pericolose. Incrociando i dati di vari studi, si stima che via phishing arrivi
più del 90% dei tentati attacchi informatici, si concretizzi il 32% dei data breach, si installi il 78% dei
trojan usati per conquistare accesso ai sistemi-bersaglio ed esfiltrarne dati.
Ma quali sono i brand che assicurano ai criminali informatici la maggiore possibilità di ingannare le loro vittime? Secondo il più recente
Brand Phishing Report di Check Point Software Technologies, relativo al secondo trimestre 2020,
sono Google e Amazon. Il 13% delle campagne di phishing rilevate nel trimestre "cavalcava" l'affidabilità di Google (che il phishing di suo
cerca di fermarlo). E una percentuale identica faceva leva sul brand di Amazon.
A seguire ci sono altri nomi noti del digitale. Entità note che è effettivamente probabile ci possano mandare un messaggio di email. Si va nell'ordine da
Whatsapp a
Facebook, appaiate al 9% degli attacchi phishing. Da
Microsoft (7%) ad
Outlook (3%). Da
Netflix ad
Apple, da
Huawei a
PayPal. Tutte assestate al 2%.
Check Point segnala, come esempi di attacchi "brandizzati" nel trimestre, due casi di tentato
furto di credenziali mediante pagine web che imitavano siti leciti. E a cui di era indirizzati se si faceva un clic di troppo in mail di phishing. A maggio 2020 il sito web fraudolento
paypol-login.com cercava di imitare una pagina di login di PayPal. Per cercare di rubare le credenziali di login a PayPal stesso. A fine giugno è accaduto lo stesso per iCloud, il portale dei servizi cloud di Apple. Al dominio
account-icloud.com era stata replicata la pagina di login di iCloud.