Gli esperti di Check Point Software dispensano alcuni consigli per una scelta azzeccata ed efficiente delle soluzioni di cloud security posture management.
Mantenere una solida impostazione di sicurezza è diventato un requisito fondamentale per il business. È ormai chiaro, infatti, che il costo della mancata conformità ai regolamenti, agli standard e alle aspettative può essere molto alto in termini di perdite finanziarie, insoddisfazione del cliente, danni alla reputazione, spese giudiziarie e di recovery, e multe.
Per questi motivi le aziende sono più attente che mai al controllo di raccolta, elaborazione e conservazione dei dati e di altre risorse online. Tuttavia, questo non è sufficiente per garantire la sicurezza dei dati. Le applicazioni cloud-native altamente distribuite, con i loro workload temporanei in esecuzione su complesse infrastrutture ibride, presentano superfici di attacco estese e vulnerabili.
Lo sanno bene i criminali informatici, che orchestrano attacchi mirati proprio per approfittare delle vulnerabilità e delle brecce lasciate scoperte nel corso di errate configurazioni. Spesso queste ultime sono dovute alla mancata comprensione della responsabilità condivisa. In particolare, del fatto che il provider del servizio è tenuto a mettere in sicurezza le sue risorse infrastrutturali. In altre parole, ad assicurare che il servizio venga erogato.
Spetta al cliente la configurazione sicura dei suoi account e delle risorse che risiedono sull'infrastruttura del cloud pubblico.
Il modo più efficiente e sicuro per il cliente per svolgere questo compito è adottare una soluzione di cloud security posture management (CSPM). Consiste in una combinazione di tool e servizi di sicurezza che svolgono funzioni fondamentali per assicurare visibilità e un controllo completi dell'infrastruttura.
Per aiutare nella scelta del CSPM gli esperti di Check Point Software hanno messo a punto gli aspetti più importanti da valutare. Il primo, che non può mancare, è il rilevamento automatico e continuo delle risorse in tutti gli ambienti e le architetture. Serve per eliminare i punti ciechi (maggiormente sfruttati dagli attaccanti) e identificare automaticamente le risorse ad alto rischio.
I dati così collezionati devono poi essere contestualizzati e arricchiti con le informazioni relative a tutte le risorse collegate alla rete e le relazioni tra di esse. Questo perché non basta identificare una risorsa critica: per proteggerla occorre fare in modo che l'accesso a questa risorsa sia controllato e selettivo. Più la risorsa è critica, più i controlli devono essere restrittivi.
Una volta soddisfatti i primi due punti si dovrebbe ottenere una visibilità centralizzata, approfondita e in tempo reale di tutti i flussi di monitoraggio, tramite i quali condurre audit di sicurezza per identificare le falle restanti. I dati infatti non sono statici, il loro flusso dev'essere monitorato costantemente.
Bisogna poi mettere in conto che le minacce non arrivano esclusivamente dall'esterno. Per questo è doverosa una valutazione pre-deployment dell'impatto dei repository Infrastructure-as-Code (IaC), in modo che le vulnerabilità nei modelli IaC non vengano diffuse dalle applicazioni.
In tutto questo non si deve dimenticare la compliance: un CSPM di livello enterprise dev'essere anche uno strumento che aiuta a rispettare le normative vigenti, aggiornandosi di pari passo con i cambiamenti normativi.
Dovrebbe essere il CSPM stesso ad avvisare, con appositi alert in tempo reale, quando si verificano violazioni delle policy e intrusioni, così da consentire di rimediare tempestivamente. Ultima ma non meno importante è la flessibilità. Affinché apporti i benefici sperati, un prodotto di security posture management deve semplificare il lavoro del team IT, non complicarlo. Quindi deve offrire tutte le opzioni di personalizzazione e flessibilità necessarie affinché si possano soddisfare le esigenze uniche di prodotti, processi, e policy, senza penalizzare il flusso di lavoro aziendale.