Lo European Defence Fund alloca per il 2025 molti investimenti focalizzati sul lato sempre più digitale della Difesa, compresa la cyber warfare vera e propria
L'innovazione tecnologica e la digitalizzazione riguardano tutti i comparti e, quindi, anche la Difesa. Del resto i conflitti oggi coinvolgono sempre più tecnologie collegate al digitale, e anzi si svolgono, in una parte che cresce progressivamente d'importanza, direttamente nel mondo digitale della cyber warfare. Così è solo logico che l'Unione Europea, nell'ambito dello European Defence Fund, abbia definito diversi piani di investimento mirato su ambiti digitali o digitalizzati.
Come spiega direttamente la Commissione Europea nel Work Programme dell'EDF per il 2025, l'Europa nel suo complesso ha bisogno di potenziare le sue capacità di difesa contro le minacce cyber, tenendo bene in conto che l'ambito cyber "è di per sè un dominio operativo militare" ed è anche "una dimensione critica di molte funzioni chiave di difesa". Anche per questo, peraltro, la UE a fine 2022 aveva definito una vera e propria Cyber Defence Policy che copre anche l'ambito della Difesa.
L'EDF prevede due programmi di investimento che riguardano in modo specifico la cyber Difesa. Innanzitutto, 34 milioni di euro sono allocati per lo sviluppo di soluzioni che "gestiscano e, dove possibile, automatizzino, parti sempre più grandi delle operazioni militari europee nel cyberspazio", il che include in particolare "la sincronizzazione di azioni cyber e militari su domini diversi". Qui il tema è quello della necessità di gestire il cyberspazio come un terreno di scontro militare che affianca gli scenari di conflitto fisici: le azioni portate avanti nel virtuale vanno coordinate con quelle portate avanti nel mondo fisico, e viceversa. Oggi non è possibile, perché guerra guerreggiata e cyber warfare sono quasi sempre, operativamente, universi separati.
Questo concetto generale si declima poi in tre ambiti specifici, per i quali la UE cerca lo sviluppo di soluzioni ad hoc. Il primo campo è quello della cosiddetta Cyber Force Multiplication: puntare sull'automazione e sulla distribuzione di risorse di cyber warfare per aumentare l'efficacia delle operazioni di guerra digitale. C'è poi la Cyber Command Augmentation: permettere, con componenti di orchestrazione e coordinamento, la decentralizzazione del controllo delle operazioni di cyber warfare, per adattarle allo scenario estremamente volatile e dinamico tipico dei confronti nel cyberspazio. Infine, il campo della Self-Adaptive Protection: nel corso delle operazioni di cyber warfare, le risorse e i sistemi coinvolti devono essere in grado di rilevare attacchi e incidenti che li riguardano, mettendo dinamicamente in atto le contromisure necessarie a portare a termine con successo la missione prevista.
In un campo più strettamente militare, 20 milioni di euro sono allocati per una "call for proposal" riguardante la cyber resilienza dei veicoli militari senza pilota - tecnicamente Unmanned Vehicles (UxV) - come droni aerei, veicoli di terra, navi, sottomarini. L'utilizzo sempre più frequente degli UxV comporta nuove sfide in campo sicurezza, spiega la UE, perché la natura cyber-fisica degli UxV porta la superficie di attacco di un tipico computer in un nuovo contesto in cui gli attacchi cyber riusciti possono avere gravi conseguenze nel mondo fisico. Ecco quindi la necessità di sviluppare tecnologie e soluzioni con cui i veicoli possano reagire ad eventuali minacce, riconfigurarsi, reagire. La UE cita in particolare la necessità di sviluppare un "risk-evaluation engine", ossia un motore software che modifichi il comportamento di un veicolo in funzione dei rischi potenziali che deve affrontare.
Altri fondi sono stati allocati per progetti collegati all'ambito genericamente definito di Digital Transformation, un termine sin troppo abusato ma che in campo Difesa vede due vettori specifici di sviluppo: da un lato la generazione e la raccolta di sempre più dati da analizzare, dall'altro l'utilizzo crescente dell'Intelligenza Artificiale nei sistemi di Difesa e nei processi decisionali. Le attività di ricerca e sviluppo in campo AI non mancano, ovviamente, ma la UE ritiene che sia indispensabile finanziare progetti specifici che allineino lo sviluppo dell'AI con le esigenze militari.
I fondi allocati in questo senso nel 2025 assommano a 27 milioni di euro e saranno focalizzati sulle applicazioni dell'AI Generativa nello sviluppo di nuove interfacce uomo-macchina per le applicazioni militari. La UE ritiene che LLM e chatbot possano avere un ruolo importante in vari elementi della "catena" militare, come ad esempio l'intelligence, la pianificazione strategica, le operazioni tattiche. Ma pensa anche che le GenAI attuali non siano ancora abbastanza affidabili.
Ad esempio, i sistemi di AI impiegati in applicazioni militari dovrebbero gestire informazioni critiche e classificate, quindi la privacy di queste informazioni - anche in funzione di chi sta dialogando con l'AI in un dato momento - deve essere assolutamente garantita. Inoltre, per ovvi motivi, qualsiasi risposta di un chatbot militare deve essere a prova di errore, quindi deve essere sempre possibile valutare ed analizzare la catena di ragionamento che ha portato alla risposta stessa. Sintetizzando, una AI militare deve essere per forza una "explainable AI".
Insomma, c'è molto da fare e in più manca una base comune riconosciuta di metriche, benchmark, test e protocolli per stabilire in modo concreto il livello di performance e di affidabilità di una AI. Sette milioni di euro sono quindi stati stanziati per creare un ambiente specifico di test e organizzare una "challenge" tecnologica in cui valutare lo stato dell'arte delle tecnologie per il dialogo uomo-AI nelle applicazioni militari.
Sulla base delle valutazioni che deriveranno da questa challenge si potranno sviluppare meglio specifiche applicazioni e interfacce di GenAI per usi militari. A questo scopo sono stanziati 20 milioni di euro, somma che nelle intenzioni dovrebbe portare allo sviluppo dei primi chatbot dotati delle caratteristiche considerate indispensabili in ambito Difesa: tutela delle informazioni sensibili e classificate, algoritmi "spiegabili", apprendimento continuo senza supervisione, interazioni testuali e vocali, supporto per tutte le lingue ufficiali dell'Unione.
Le tecnologie del digitale coinvolte dall'EDF per il 2025 non sono solo queste appena descritte, in realtà. L'EDF ha un ampio raggio d'azione - per quest'anno stanzia complessivamente qualcosa come un miliardo di euro - e, come accennato, molti aspetti e componenti delle operazioni militari sul campo si stanno decisamente digitalizzando.
Un concetto da tenere presente è quello di "collaborative warfare". La guerra del futuro sarà caratterizzata dal collegamento in rete dei vari sistemi di combattimento, compresi i mezzi autonomi senza equipaggio, e da un elevato grado di automazione di questi stessi sistemi, che devono oltretutto operare in maniera coordinata. Gli scenari di "guerra connessa" generano così una quantità enorme di informazioni e dati, troppi perché i combattenti sul campo e i loro comandanti possano, da soli, raggiungere rapidamente una vera comprensione della situazione in cui si trovano - la ben nota "situational awareness" - e quindi prendere altrettanto rapidamente le decisioni tattiche opportune.
Questa questione più generale si traduce poi in problemi specifici a seconda dei vari casi d'uso possibili. Ad esempio, l'EDF stanzia 49 milioni di euro per lo sviluppo di una piattaforma di "collaborative air combat", in sostanza una piattaforma software di integrazione con cui i vari sistemi nazionali per la gestione delle forze aeree sul campo possano interoperare e scambiarsi dati. Altri 54 milioni di euro sono allocati in modo specifico per lo sviluppo di soluzioni che aiutino gli equipaggi dei velivoli militari negli scenari di guerra "collaborativa": dispositivi wearable, nuovi tipi di visori, realtà aumentata, comandi vocali, olografia 3D, assistenti virtuali, sistemi per il "dialogo" con droni e altri UxV.
Spostandosi dalle forze aeree ai combattimenti di terra il concetto di fondo non cambia: serve una gestione coordinata e trasversale delle informazioni e delle risorse sul campo per raggiungere - e mantenere - una capacità decisionale e un livello di automazione adeguati. Lato forze di terra serve quindi una piattaforma di "land collaborative combat" per - spiega la UE - l'elaborazione di un quadro tattico condiviso e di azioni strettamente coordinate, con una scala che arriva sino al Corpo d'Armata o alla formazione multinazionale. Un obiettivo non banale per cui sono stati allocati 44 milioni di euro.
I piani della UE coprono anche la digitalizzazione delle forze navali. Qui il primo tema affrontato è quello della "digital ship": l'adozione delle nuove tecnologie in campo navale è rallentata - anche, non solo - dal fatto che ogni modello di nave ha una architettura potenzialmente diversa dagli altri. Serve invece una base tecnologica comune ed omogenea - quella che viene chiamata "ship digital architecture" - in modo da poter aggiungere, aggiornare e combinare fra loro nuovi componenti hardware e software (per il combattimento, la navigazione, le comunicazioni, eccetera) in una logica di modularità.
Salendo di livello, l'intenzione è quella di sviluppare un vero e proprio "naval combat cloud", ossia - in sintesi - un cloud sicuro che raccoglie tutti i dati rilevati sul campo e i "servizi" offerti dalle navi militari in uno scenario di combattimento, in modo da sapere in ogni momento quali azioni tattiche possono essere effettivamente svolte e da combinare queste informazioni con quelle relative alle forze aeree e di terra. L'EDF ha allocato 54 milioni di euro per gli sviluppi sia della "ship digital architecture", sia dei primi concetti del "naval combat cloud".