Avviata in California una class action contro Google. L'accusa è che l'azienda abbia raccolto informazioni di navigazione durante le sessioni in incognito.
Google dovrà affrontare una class action intentata presso il tribunale federale di San Jose, in California. L'accusa è che l'azienda
raccolga i dati di navigazione degli utenti anche durante la modalità in incognito. La navigazione in incognito è usata da molti per mantenere private le loro attività online. Secondo l'accusa, Google raccoglierebbe comunque i dati degli utenti tramite Google Analytics, Google Ad Manager e altre applicazioni e plug-in.
Sono dati che servono a Google per conoscere le abitudini di navigazione degli utenti e che servono per il
targeting degli annunci. Il problema è che durante la navigazione in incognito tali informazioni potrebbero includere "cose più intime e potenzialmente imbarazzanti", secondo quanto riferito dall'agenzia di stampa
Reuters.
La causa si preannuncia complessa. Il portavoce di Google, Jose Castaneda, ha sottolineato che il colosso di Mountain View "precisa chiaramente ogni volta che apri una nuova scheda di navigazione in incognito, che i siti web potrebbero raccogliere informazioni sull'attività di navigazione".
C'è da aggiungere, tuttavia, che i ricercatori di sicurezza informatica hanno sollevato da tempo la questione. Il loro sospetto è che Google affinasse la profilazione degli utenti incrociando i dati della navigazione in incognito e di quella ordinaria.
Il problema è stato sollevato più volte. Lo scorso anno lo sviluppatore di Google Chrome Paul Irish ha
https://twitter.com/paul_irish/status/1138471166115368960
">twittato un messaggio esplicativo in cui ha ammesso che "la modalità di navigazione in incognito di Chrome è stata rilevabile per anni, per via dell'implementazione dell'API FileSystem. A partire da Chrome 76, il problema è stato risolto".
In effetti l'azienda ha implementato l'API FileSystem in un modo diverso in Chrome 76, pubblicata lo scorso anno. Tuttavia, secondo
ZDnet il problema persiste, non è mai stato risolto ed è presente anche in Chrome 83, la versione pubblicata il mese scorso.
La questione peraltro non riguarda solo Chrome, ma altri browser basati su Chromium, come Edge, Opera, Vivaldi e Brave.
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