Un report di Pulse Secure fa il punto sull'adozione dello Zero Trust e sulle prospettive nel medio periodo. Interessa la gestione degli accessi, non tutti abbracciano la filosofia nel suo complesso.
L'incremento delle violazioni dei dati dimostra che nessuna azienda è immune dagli attacchi informatici. Le cause sono note: la mobilità della forza lavoro dovuta allo
smart working diffuso e l'ampia adozione del
cloud computing.
Più volte abbiamo accennato al fatto che una delle soluzioni "chiavi in mano" per rimediare ai rischi informatici è l'adozione di un
modello di sicurezza Zero Trust. Dell'argomento si è occupato lo studio
2020 Zero Trust progress report di Pulse Secure, importante produttore di soluzioni Zero Trust. Lo scopo è fare il bilancio della diffusione di questa tecnologia e dei motivi che ne hanno favorita, o ne favoriranno a breve, l'adozione.
Ricordiamo che in questa modalità operativa a ciascun utente si concede un
privilegio minimo basato sull'accesso condizionale, così da preservare la sicurezza e da evitare che un eventuale attacco ai danni di un utente comprometta l'intera rete. Al contempo l'accesso alle risorse aziendali è facile e veloce, con buona pace per la produttività e la soddisfazione dei dipendenti.
Un bilancio positivo
Il report è stato redatto intervistando oltre 400 responsabili della sicurezza informatica, impiegati in aziende di varie dimensioni e in più settori. Gli intervistati erano divisi a metà fra fiducia e sfiducia nell'applicazione del modello Zero Trust nella loro infrastruttura. In particolare, il 53% si è detto fiducioso, il 47% non è sicuro.
Forse per questo motivo, molti (il 53 percento) stanno pensando a
un'implementazione IT ibrida. È il modello a cui abbiamo accennato nel corso dell'
intervista con Nicola Ferioli di Akamai: invece che abbracciare la filosofia Zero Trust nella sua totalità, molti ne stanno usando solo dei pezzetti, per esempio per regolamentare il controllo degli accessi.
Proprio i vantaggi nell'autenticazione è l'aspetto più apprezzato, dato che il 60% degli intervistati reputa che i principi Zero Trust dell'autenticazione siano i più convincenti per la propria azienda. Inoltre, più del 40% apprezza la gestione dei privilegi e l'accesso sicuro per i partner esterni, che può concorrere a mitigare gli attacchi informatici,
l'uso dello shadow IT e i pericoli connessi all'uso di
dispositivi mobili per accedere alle risorse aziendali.
Quest'ultimo argomento si riallaccia in linea logica con il BYOD: il 43% del campione è interessato a mitigare i rischi del BYOD, mentre il 45% è interessato alla sicurezza nell'accesso alle applicazioni di cloud pubblico.
I motivi per i quali passare allo Zero Trust
L'85 percento di chi sta valutando il modello Zero Trust conta di rafforzare la
sicurezza della rete e la protezione dei dati. Il 70% auspica di mettersi al ripario dai data breach, mentre il 56% spera di ridurre le minacce che interessano gli endpoint e
i prodotti IoT.
Com'è logico aspettarsi, queste aspettative vanno di pari passo con le priorità di sicurezza dichiarate: impedire l'accesso a persone non autorizzate e alle risorse aziendali, e prevenire il furto di dati.
Detto questo, le percentuali di adozione sono ad oggi piuttosto basse:
solo il 13% del campione ha già adottato una soluzione Zero Trust, e un ulteriore 16% lo sta implementando. È un segnale che ci sono ampi margini di crescita.
Le prime opportunità da cogliere sono in quel bacino di aziende (il 43% di quelle intervistate) che ne ha pianificata in qualche misura l'adozione. Meno accessibile sembra oggi quel 27% di aziende non interessate o che proprio ignorano l'esistenza dello Zero Trust (6%).
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